Superbonus 110%: come fare se uno dei proprietari non vuole saperne?

Può succedere che uno dei vicini non abbia interesse a ristrutturare, mettendo in stallo i lavori, anche quelli di semplice manutenzione. Come fare?

di Cristian Angeli - 25/03/2022

Case vacanze, case abbandonate, case poco utilizzate. Sono molteplici le situazioni nelle quali uno dei condòmini potrebbe non avere interesse ad eseguire i lavori. Se anche sono “aggratis” perché la ditta fa lo sconto o la banca li finanzia al 110%, il “rischio-cantiere” c’è sempre e non tutti hanno voglia di rischiare. Basti pensare alle tempistiche di esecuzione, che non sono mai certe, oppure ai prezzi, che aumentano di continuo o, ancora, alla sfortuna di qualche imprevisto imprevedibile.

Finché si tratta di un grande condominio se qualcuno si disinteressa ai lavori o si oppone è poco importante, perché si può sempre decidere per alzata di mano.

Il problema sorge invece quando i dissenzienti sono due su quattro, o uno su due, ovvero in tutti i casi in cui, con i millesimi di loro competenza, impediscono la formazione della maggioranza, determinando così una situazione di stallo nella gestione del minicondominio. Il caso tipico potrebbe essere quello di una bifamiliare o di una quadrifamiliare, nelle quali le quote di ciascuno dei condòmini risultano coincidenti e non è presente un regolamento assembleare.

Come fare se l’altro proprietario non vuole fare i lavori

Se nonostante i solleciti e se, di fronte alla reale esigenza di intervenire con lavori di manutenzione, l’altro proprietario fa orecchie da mercante, la soluzione “ufficiale” sarebbe quella di rivolgersi al giudice. L’altro condòmino, comproprietario insieme al primo delle parti comuni, potrebbe invocare infatti le tutele previste dall’art. 1105 del Codice Civile “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria”.

Ma le tempistiche non sono assolutamente compatibili con il calendario dei bonus fiscali che per i condomìni, lo ricordiamo, prevede che i pagamenti vengano eseguiti entro il 31/12/2023 per fruire del 110%, con un décalage per gli anni successivi fino al 31/12/2025.

Quindi come fare?

L’alternativa è semplice: fare i lavori lo stesso. Del resto se si tratta di una unità immobiliare funzionalmente indipendente e con accesso autonomo l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che si può procedere in tranquillità con gli interventi di Super Ecobonus. Anche dal punto di vista civilistico, qualora l’altro proprietario sia stato correttamente informato senza alcun tipo di “reazione”, gli spazi per future contestazioni sarebbero ridotti al minimo.

Invece nel caso di interventi che riguardano le parti strutturali, anche se ascrivibili alla categoria della manutenzione straordinaria e degli interventi locali, le cose sono più complesse.

I lavori di manutenzione delle parti strutturali sono possibili se l’altro proprietario non li autorizza?

Dipende. Dipende dal tipo di edificio, dalla categoria dei lavori e dalle parti strutturali alle quali essi si riferiscono.

Sappiamo, ormai è un concetto consolidato per chi si occupa di detrazioni, che i lavori antisismici devono essere sempre riferiti all’unità strutturale, nell’ambito di un progetto unitario. Questo concetto lo ha chiarito molto bene la Commissione di Monitoraggio del Sismabonus con parere Prot. n. 8047 del 21/10/2020 “Ai fini dell’applicazione del “Sismabonus” o del “Super sismabonus” più che all’unità funzionalmente indipendente bisogna fare riferimento all’unità strutturale (US) chiaramente individuabile secondo le NTC 2018”.

Quindi, in termini generali, se i lavori riguardano un’unità strutturale che comprende due o più alloggi di diversi proprietari sarà necessario prendere in esame l’intero palazzo (progetto unitario) con rilievi geometrici e materici (spessore muri, orditure solai, carichi e sovraccarichi) anche delle unità immobiliari non oggetto di interventi, con il fine di dimostrare che le opere da compiersi per volontà dell’uno non “peggiorino”, ma anzi migliorino, le strutture complessive, che sono di tutti.

Questo principio affonda le sue radici nell’art. 1102 del Codice Civile, ai sensi del quale “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.”

Di fronte a una reale esigenza, pertanto è consentito a uno dei condòmini apportare “modificazioni” alle parti strutturali, purché non ne venga alterata la destinazione e non vengano lesi i diritti (presenti e futuri) degli altri comproprietari (e dei loro discendenti!). È su questi aspetti che bisogna fare attenzione perché il concetto di “destinazione” non è astratto, bensì è legato alla “consistenza materiale” dei beni (in tal senso Cass. Civile 26 maggio 2006 n. 12654).

Se oi le modificazioni sfociano in “innovazioni” bisogna tener conto dell’articolo 1120 del Codice Civile, in base al quale “Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino”.

È una materia contraddittoria, che può generare contrasti, vediamo alcuni esempi.

Il caso dei condomìni orizzontali (le villette a schiera)

La Commissione di Monitoraggio, con parere prot. n. 7035 del 13 luglio 2021, ha introdotto una deroga alla regola generale del “progetto unitario” e dell’unità strutturale di cui abbiamo parlato sopra. Tale deroga riguarda le “villette a schiera”, con riferimento alle quali è stato detto “a maggior chiarimento del parere del 21/10/2020, rientrano tra gli interventi agevolabili anche gli “interventi di riparazione o locali” realizzati su una villetta a schiera.”

Questo principio è stato più volte richiamato dall’Agenzia delle Entrate in molteplici risposte a interpelli.

Ne deriva quindi che nei condomini a sviluppo orizzontale, laddove non sia possibile eseguire un intervento complessivo di ristrutturazione o di manutenzione, il singolo proprietario di una unità immobiliare potrebbe - tecnicamente e fiscalmente - eseguire opere sulla “sua parte” di struttura. Ad esempio potrebbe rifare il tetto, aprire porte e finestre, realizzare sottofondazioni, poiché questa tipologia di lavori rientrano tra gli interventi locali.

La ratio è chiara. Trattandosi di edifici a sviluppo orizzontale gli interventi eseguiti su una porzione di struttura, se di modesta entità, difficilmente avranno ripercussioni sulla struttura complessiva. Dal punto di vista civilistico, però, va prestata attenzione al decoro dello stabile, che è anch’esso un bene comune e che non va mai alterato senza il consenso dell’assemblea.

Il caso dei condomìni a sviluppo verticale (le palazzine)

Il caso dei condomini a sviluppo verticale è diverso dal precedente. Non ci sono deroghe espresse dalla Commissione e, inevitabilmente, il lavoro dell’ingegnere dovrà prendere in esame l’intera struttura, da cielo a terra, più o meno approfonditamente a seconda della natura degli interventi che si vogliono fare. Consideriamo un esempio tipico: edificio composto da due unità immobiliari sovrapposte con quote di proprietà al 50%.

Il proprietario dell’appartamento all’ultimo piano, può “rifare il tetto” fruendo del sismabonus (ordinario o potenziato), se il condòmino del piano terra non partecipa o si oppone all’iniziativa?

Deve fare molta attenzione, anche alla forma.

Anzitutto dovrà invitarlo ad esprimersi in ogni modo possibile, dapprima bonario, poi mediante diffida legale e, se i tempi lo consentono, anche ricorrendo all’istituto della mediazione civile.

Se l’intervento prevede la modifica di parti strutturali (sostituzione di alcune travi ammalorate, dell’orditura secondaria, rifacimento dei cornicioni, etc), la risposta è tendenzialmente affermativa, può farlo. Difficile generalizzare ma, se si tratta di modifiche parziali che non mutano la destinazione della cosa e non alterano il decoro, è ben difficile uscire dal perimetro dettato dall’art. 1102 del Codice Civile.

Se invece l’idea fosse quella di “sostituire” l’intera copertura, magari introducendo anche un cordolo per una maggiore sicurezza e per una migliore fruizione della soffitta, seguendo le indicazioni del proprio ingegnere basate anche sulle deroghe introdotte dall’art 33-bis della L. 108/2021 in base al quale il cordolo antisismico “non fa altezza”, le cose si complicano. Pur trattandosi sempre di una manutenzione straordinaria e pur essendo opere ascrivibili alla categoria degli interventi locali, il proprietario “silente” (o chi per lui) un domani potrebbe contestare l’illegittima trasformazione (innovazione) di una parte comune (Cass. civ. sez. II, 8 gennaio 2021, n. 97), con conseguenze non solo sul piano civile (richiesta danni o riduzione in pristino delle opere realizzate), ma anche di legittimità del titolo edilizio che ha aperto la strada ai bonus fiscali.

Tipico caso in cui la logica non segue i principi del diritto: anche rifacendo il tetto a proprie spese e migliorandolo rispetto a come era prima si può incorrere in problemi.

Lo strano caso dei condomìni “misti” (gli aggregati edilizi)

Un condominio può essere definito “misto” quando non è né a sviluppo orizzontale e né a sviluppo verticale, ovvero quando è un po' l’uno e un po' l’altro. Pensiamo ai palazzi dei centri storici, in cui i progressivi frazionamenti e accorpamenti delle varie unità immobiliari determinano spesso “compenetrazioni” di stanze all’interno della sagoma degli appartamenti circostanti.

In questi contesti la Commissione di Monitoraggio, con parere num. 4/2021 ha spiegato che “la messa in atto di interventi locali, se ben realizzati, consente di raggiungere, senza dover espletare la verifica sismica complessiva dell’intero aggregato o delle singole Unità Strutturali in cui occorrerebbe tener conto anche delle interazioni con le unità strutturali adiacenti, una riduzione del rischio sismico”.

Quindi anche in questo caso il singolo condòmino potrebbe eseguire” interventi locali” che, per loro natura e ai sensi delle NTC, richiedono verifiche localizzate solo nella porzione di struttura che si vuole modificare, senza necessità di coinvolgere gli altri proprietari.

Se quindi si tratta di modifiche interne (rifacimento di solai di interpiano, apertura di porte, etc) non ci sono problemi, né tecnici né civilistici.

Se invece torniamo all’esempio del tetto, o delle modifiche alla facciata, ovvero di lavori che riguardano parti comuni “sensibili”, la possibilità di eseguire interventi locali ammessi al Superbonus, come chiarito dal CSLLPP, non deve ingannare, poiché occorre tener conto dei diritti degli altri condòmini, oggi indifferenti ma domani chissà.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di Sismabonus, www.cristianangeli.it

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