Superbonus, cessione del credito e Codice dei contratti: un futuro in bilico

Tra gestione "post superbonus" e riforma del codice dei contratti si gioca il futuro del Paese. Ne usciremo vittoriosi o sconfitti?

di Gianluca Oreto - 01/06/2023

Ci sono stati anni in cui le debolezze del sistema italico erano giustificate (o almeno così si pensava) dall'assenza di fondi disponibili alla pubblica amministrazione. Questi anni sono ormai alle spalle ma scelte sbagliate, tempistiche calcolate male e una totale assenza di progettualità hanno fatto venir fuori le vere cause che al momento lasciano il Paese fermo al palo.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Cause che non hanno un solo "nome e cognome" ma sono frutto di una politica basata sull'emergenza, rimasta impantanata in logiche arretrate e non più al passo con una società radicalmente mutata. Lo dimostra la risposta europea alla crisi pandemica (il Next Generation EU, NGEU), a seguito della quale l'Italia si è ritrovata a dover gestire due nuovi strumenti:

  • il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF);
  • il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU).

Il solo RRF ha garantito risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Il dispositivo RRF ha richiesto agli Stati membri di presentare un pacchetto di investimenti e riforme che nel nostro Paese si è concretizzato con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un Piano composto da 16 Componenti distribuite in 6 Missioni:

  • digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;
  • rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • istruzione e ricerca;
  • inclusione e coesione;
  • salute.

Un Piano coerente con i gli obiettivi del NGEU che comprendeva un ambizioso progetto di riforme:

  • pubblica amministrazione;
  • giustizia;
  • semplificazione della legislazione;
  • promozione della concorrenza.

Riforme essenziali che il Paese (quello che produce) attende da una vita ma che al momento non sembrano essere la priorità di chi guida la macchina amministrativa e dovrebbe tracciare la strada delle prossime riforme.

Al PNRR e ai suoi obiettivi si intersecano alcuni elementi fortemente caratterizzanti l'Italia dell'ultimo triennio:

  • l'incentivazione dell'edilizia tramite bonus fiscali (in particolare il superbonus e la cessione del credito);
  • la riforma del Codice dei contratti.

Il Superbonus e la cessione del credito

Il primo trend è stato la palese dimostrazione dell'inefficienza del legislatore italiano: un comandante senza bussola che ha sballottato i passeggeri fino allo sfinimento e che ancora oggi, dopo un anno e mezzo e 25 correttivi senza progettualità, non riesce a trovare soluzioni ad un problema che ha lasciato tutti in balia della tempesta perfetta.

Con il superbonus e la cessione del credito stiamo tutti ancora ad ascoltare dichiarazioni, promesse, interrogazioni parlamentari, prese di coscienza, ma non si rinviene un solo, effettivo tentativo di trovare la soluzione al problema di decine di migliaia di soggetti tra imprese, professionisti e committenti, la cui unica colpa è stata quella di fidarsi dello Stato.

Una fiducia mal riposta, se consideriamo il cambio di rotta avvenuto nel passaggio dal Governo Conte II a quello Draghi, fino ad arrivare all'attuale Meloni. Si è partiti con le sirene del "tutto gratis" (dichiarazioni davvero poco edificanti che hanno colpito la pancia del Paese) e con un bel "abbiate fiducia", per arrivare ad un muro che al momento sta costando il futuro di chi ha messo a rischio la propria casa e il proprio lavoro.

Il vero "capolavoro" (mi si passi il termine) è aver spacciato il Decreto-Legge 16 febbraio 2023, n. 11 (Decreto Cessioni), convertito con modificazioni dalla Legge 11 aprile 2023, n. 38, come la soluzione ai problemi generati "dagli altri" (la causa è sempre loro). Quando poi in realtà questo provvedimento è solo servito a mettere un punto ad un sistema che, complessità, fragilità ed errori di gioventù a parte, aveva dimostrato di funzionare.

Si potrà sindacare sull'aliquota generosa del superbonus, sulle possibilità di migliorare tecnicamente un incentivo che non ha premiato solo l'efficienza energetica e strutturale ma anche gli affaristi che, sul leit motiv del "tutto gratis", hanno avvicinato il cittadino medio con il "facciamo tutto quello che è lecito, tanto paga lo Stato". Si può sindacare anche sull'immaturità del meccanismo di cessione del credito, esteso senza troppi ragionamenti ai bonus senza controllo.

Ciò che, però, non si può dimenticare è che il sistema ha davvero funzionato e l'Italia ha vissuto almeno un biennio di crescita senza precedenti. Un bonus equo e funzionale, unito ad un meccanismo che consenta a tutti di beneficiarne, è l'unica soluzione per incentivare l'edilizia che, come certificato anche da ISTAT, è un mercato trainante per l'intera economia.

Ma, benché questo sia un concetto chiaro a tutti, non si sente ancora discutere un solo progetto serio e a lungo termine che consenta al comparto delle costruzioni di ripartire (perché, se qualcuno ancora non se ne fosse accorto, si è fermato nuovamente).

La riforma del Codice dei contratti

Passando, poi, al secondo argomento trend, è possibile rilevare che con la pubblicazione del Decreto Legislativo n. 36/2023 si è deciso di mettere la parola "fine" alla mostruosità normativa avviata con il Decreto Legislativo n. 50/2016.

Non sto qui a sindacare i contenuti del "vecchio" Codice n. 50/2016 (per me incommentabile considerato che non è mai stato completamente attuato), ma la sua struttura esplosa in tanti provvedimenti attuativi (Decreti Ministeriali, Linee guida ANAC vincolanti e non vincolanti) che hanno (anche in questo caso) fatto perdere la rotta generando un corpo normativo frastagliato e di difficile comprensione per tutti gli operatori e un'infinità di contenziosi.

Ben venga, dunque, l'idea di tornare ad un corpo unico sul quale ci dovremo ancora confrontare e comprendere se resterà davvero così unico. Ricordiamo, infatti, che la maggior parte degli allegati al D.Lgs. n. 36/2023 (38 in totale) al momento sono atti legislativi in prima applicazione che "possono" diventare regolamentari, se entro il 28 settembre 2023 saranno abrogati e sostituiti da regolamenti ministeriali sostitutivi, con contenuto identico a quello dell’allegato stesso, su cui non è acquisito il parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari.

Una possibilità che renderebbe più snello e veloce ogni intervento di modifica sugli allegati stessi, ma che diminuirebbe la probabilità di avere un corpo normativo stabile nel tempo, ovvero ciò tutti gli operatori desiderano e si aspettano con questa riforma. Purtroppo, però, dopo una prima "mini modifica" arrivata pochi giorni fa, si parla di un primo pacchetto di correttivi che dovrebbe arrivare entro il 31 dicembre 2023, se non addirittura entro l'1 luglio 2023 (data in cui il Codice n. 36/2023 comincerà ad acquisire efficacia), vanificando il lavoro di studio e confronto di tutti gli operatori.

Ciò su cui si parla troppo poco è la necessità di dotare la pubblica amministrazione di quegli strumenti necessari per svolgere la sua funzione:

  • personale adeguatamente formato;
  • un'infrastruttura digitale al passo con i tempi.

Sul primo punto resta il problema del blocco delle assunzioni che rende difficile "aggiornare" il capitale umano delle amministrazioni. Sul secondo, invece, pesa l'assenza di competenza di chi dovrebbe fare scelte importanti eliminando ogni forma di decentramento digitale e dotare il Paese di una Piattaforma unica all'interno della quale inserire tutto ciò che serve.

Non parlo, infine, della riforma della giustizia perché non è il mio campo. Ma inviterei tutti a trascorrere qualche ora dentro un tribunale per toccare con mano il "vecchiume" che da decenni ha sepolto ogni tentativo di velocizzare i tempi.

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