Superbonus e cessione del credito: basta prese in giro!

Dalle modifiche al meccanismo di cessione alla riclassificazione dei crediti edilizi. Cosa serve per sbloccare il mercato dei crediti edilizi e ridare ossigeno e fiducia al comparto delle costruzioni?

di Gianluca Oreto - 05/08/2023

Sono trascorsi 555 giorni, oltre 18 mesi, da quel “famosissimo” 27 gennaio 2022 che, con la pubblicazione del Decreto Legge n. 4/2022 (Decreto Sostegni-ter), ha “stravolto” dall’oggi al domani il meccanismo di cessione dei crediti edilizi, “travolgendo” l’intero comparto delle costruzioni.

Le prime due date chiave

Un provvedimento normativo emergenziale che, col la scusa di limitare le frodi fiscali, ha eliminato il meccanismo di cessione dei crediti di cui all’art. 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), prevedendone uno (senza alcuna progettualità) completamente diverso con cessioni limitate (una, due, tre, quattro, fino alle attuali cinque).

Limitazione delle frodi che non può che essere considerata una scusa, perché chi ha minimamente seguito l’andamento della normativa sul superbonus e sul meccanismo di cessione dei crediti edilizi, ricorderà certamente alcune date e provvedimenti chiave:

  • il 31 maggio 2021 che porta in dote il Decreto-Legge n. 77/2021 (Decreto Semplificazioni-bis) - un provvedimento normativo emanato dal Governo Draghi per incentivare gli interventi di superbonus. È certamente questo il provvedimento decisivo che, grazie alla deroga all’art. 49 del d.P.R. n. 380/2001 e la CILAS, ha “indotto” un po’ tutti a ritenere che un intervento di superbonus potesse essere tranquillamente avviato anche su immobili con piccoli e grandi abusi edilizi (niente di più sbagliato!);
  • il 12 novembre 2021, ovvero l’entrata in vigore del Decreto-legge 11 novembre 2021, n. 157 (Decreto antifrode), emanato per bloccare le frodi che nel frattempo sono state riscontrate nell’utilizzo del meccanismo di cessione dei crediti sui bonus che non avevano sistemi di controllo (come quelli già esistenti nel superbonus).

Considerazioni

Prima considerazione: il Governo Conte II ha palesemente sbagliato nell’aver esteso la cessione del credito ai bonus senza controllo. Le frodi sul bonus facciate sono la dimostrazione del pressappochismo normativo del legislatore che prima di tutti dovrebbe rispondere dei miliardi di frodi fiscali nel frattempo scovati da Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate.

Seconda considerazione: il Governo Draghi ha sbagliato due volte. La prima nell’aver derogato ad un principio sacrosanto, valido per qualsiasi contributo statale (anche per il contributo previsto dal Decreto emergenza alluvioni), per cui non è possibile utilizzare una detrazione fiscale in presenza di abusi edilizi. È vero che l’attuale normativa edilizia è poco propensa ad aiutare il cittadino (e il professionista) a sanare eventuali difformità edilizie, ma è altrettanto chiaro che la deroga all’art. 49 del Testo Unico Edilizia unita alla CILAS, hanno letteralmente fatto esplodere la domanda senza alcun controllo sulla spesa dello Stato. Il Governo Draghi è il primo che dovrebbe rispondere dell’esplosione indiscriminata e senza logica della spesa in Superbonus.

Terza considerazione: la CILAS. Sulla CILAS ci sarebbe tanto da scrivere. Questa non è un comunicazione prevista all’interno del Testo Unico Edilizia ma solo una pratica amministrativa che ha solo generato la menzogna che l’assenza di attestazione sullo stato legittimo avrebbe consentito di intervenire su qualsiasi immobile. In realtà, solo i tecnici più bravi (che per fortuna sono ancora tanti) hanno compreso sin da subito la necessità di affiancare alla CILAS il relativo titolo edilizio con la necessità di verifica sulla conformità edilizia e urbanistica.

Quarta considerazione: già con il primo Decreto antifrode, il Governo era riuscito a mettere fine alle possibilità di frode. L’asseverazione di congruità delle spese e il visto di conformità sono riuscite subito ad eliminare quel bug (qualcuno lo ha chiamato “cavallo di troia”) che da una parte è stato il vero motore delle frodi sui bonus minori e dall’altra ha giustificato (almeno per il Governo e per alcuna stampa compiacente) gli interventi di modifica sul meccanismo di cessione del credito. Tutti i provvedimenti normativi che hanno limitato il meccanismo di cessione sono serviti a tutto ma non a limitare le frodi. Per limitare le frodi occorreva agire sulla generazione del credito e non sulle modalità del suo utilizzo.

Cosa serve davvero

Resosi conto dell’errore commesso con il Decreto Sostegni-ter, il Governo ha provato sin da subito ad intervenire con l’aumento di cessioni disponibili, la cessione dalle banche ai clienti non consumatori (ricessione), la limitazione alla responsabilità solidale e infine la documentazione necessaria per eliminarla completamente.

Tutti interventi che sono serviti solo a perdere di vista ciò che sarebbe servito veramente al sistema per risolvere il problema che nel frattempo si era venuto a creare: il blocco della cessione del credito.

Dal Decreto Sostegni-ter in poi, infatti, hanno cominciato a chiudere i principali player che erano intervenuti nell’acquisto dei crediti edilizi. Prima Cassa Depositi e Prestiti, poi Poste Italiane ma limitatamente alle imprese e poi da novembre 2022 anche verso i privati (inizialmente qualcuno pensava fosse solo una sospensione per allineare la piattaforma al Decreto Aiuti-quater...io non l’ho mai pensato!).

Negli ultimi tempi si è tornati a parlare di futuro dei bonus edilizi e, grazie al lavoro instancabile degli Esodati del Superbonus, anche di un nuovo provvedimento “urgentissimo” che avrebbe definitivamente risolto il problema del blocco della cessione.

In realtà si è poi scoperto che molte delle promesse sarebbero state accolte in modo limitato e che probabilmente questo nuovo “Decreto Urgentissimo” non avrebbe prodotto alcun effetto utile.

E allora cosa serve? Come si può definitivamente risolvere il problema di chi ha investito mettendo a rischio i propri risparmi e la propria casa?

Innanzitutto non serve a nulla suddividere gli investitori pre e post 27 gennaio 2022 (come pensato da qualche “superconsulente”). Pur essendo chiaro che una persona più “accorta” avrebbe dovuto comprendere subito cosa stava accadendo dal Decreto Sostegni-ter in poi, è anche chiaro che non tutti sono in grado di leggere un segnale (anche se forte e chiaro). Il Decreto Sostegni-ter aveva stravolto il meccanismo di cessione ma banche, CDP e Poste acquistavano ancora crediti. In molti non avrebbero mai pensato in un blocco così netto e devastante.

Dopo aver capito questo occorre suddividere, invece, due tipologie di credito:

  • quelli realmente maturati per un intervento realizzato;
  • quelli fittizi creati a regola d’arte da chi è riuscito ad insinuarsi nelle pieghe della norma (le truffe).

Una volta compreso chi ha solo avuto la sfortuna o imperizia nell’aver legittimamente avviato un intervento senza capacità economica e capienza fiscale, lo Stato (Governo e Parlamento) devono solo fare una cosa per la quale non servono Decreti Legge: imporre alle partecipate di Stato di acquistare i crediti fiscali a prezzi ragionevoli (un po’ come fatto dal Governo Conte II all’inizio della storia).

Riclassificazione dei crediti edilizi

Intanto, si avvicina inesorabilmente novembre 2023, ovvero l’ultimo mese in cui tramite la remissione in bonis sarà concesso di utilizzare il meccanismo di cessione per i crediti 2022. Superata questa data molti dei crediti fiscali andranno persi perché chi non ha avuto la possibilità di cederli e non ha capienza fiscale per utilizzarli in detrazione, non potrà fare altro che indebitarsi per coprire la spesa.

Nel caso in cui gran parte dei crediti andrà persa, ci sarà da fare i conti con la riclassificazione dei bonus edilizi voluta da Eurostat e “interpretata” da ISTAT retroattivamente (a partire dal 2020). Nessuno dimenticata l'aggiornamento del Manual on Government Deficit and Debt (MGDD) operato da Eurostat, né la riclassificazione di ISTAT.

Volendo fare un riassunto “veloce”, ricorderemo solo che il manuale europeo suddivide i crediti tra:

  • pagabili;
  • non pagabili.

I primi sono quelli in cui viene comunque corrisposto al beneficiario l'intero ammontare del credito d'imposta se non utilizzato (ad esempio: se in un anno ho un credito fiscale di 100 ma ne utilizzo 60, gli altri 40 me li rimborsa lo Stato).

I crediti non pagabili, invece, sono quelli per cui la parte che eccede l'obbligazione del contribuente nel periodo in vigore viene “persa” (ad esempio: se in un anno ho un credito fiscale di 100 ma ne utilizzo 60, gli altri 40 li perdo).

Con la riclassificazione voluta da Eurostat, si è deciso di considerare pagabili anche i crediti con elevata probabilità di non essere "sprecati". Probabilità che dipenderebbe da tre caratteristiche:

  • la trasferibilità a terzi;
  • l'utilizzo differito nel tempo;
  • l'utilizzo in compensazione con altri debiti fiscali e contributivi.

Alla luce del meccanismo di cessione, ISTAT ha, quindi, deciso di considerare crediti pagabili quelli provenienti da superbonus e bonus facciate (chissà perché non si è parlato anche degli altri). Crediti che sarebbero diventati pagabili ma non rimborsabili. Un “nonsense” di cui probabilmente si parlerà ancora.

Cosa cambia per lo Stato tra crediti pagabili e non pagabili?

Benché al Governo e in Parlamento ci siano stati illustri personaggi che hanno provato a spiegarlo (in modo dozzinale oltre che dilettante), a rispondere a questa domanda ci ha pensato direttamente Luca Ascoli, direttore delle statistiche di finanza pubblica di Eurostat, che in audizione al Senato ha chiarito che, prescindendo dalla sua classificazione, un credito fiscale non incide mai sul debito pubblico ma solo sul deficit (a cui differenza è enorme).

Se un credito è pagabile, allora deve essere imputato interamente nell'anno 0 (in cui viene creato), mentre se è non pagabile, andrà "spalmato" sugli anni in cui viene utilizzato. Volendo fare un esempio, se nell’anno ZERO sono creati crediti fiscali dell’ammontare complessivo di 100 e questi vengono utilizzati in 5 anni, vuol dire che il contribuente porta in detrazione 20 negli anni 1, 2, 3, 4 e 5. Lo Stato avrà, dunque, una riduzione di entrate pari a 20 per ogni anno. Se il credito è considerato non pagabile, allora lo Stato lo inserirà contabilmente a bilancio nei relativi anni (nell’esempio al massimo 20 per ogni anno). Se, invece, il credito è pagabile lo Stato lo dovrà inserire tutto nell’anno ZERO.

Benché l’impatto sui conti sia sempre lo stesso, le differenze sono enormi per il Bilancio dello Stato.

A questo punto, volendo concludere con una domanda aperta, se i crediti edilizi sono pagabili ma non rimborsabili e gli stessi andranno persi perché non ceduti, quanto può essere considerato credibili il Bilancio dello Stato per gli anni 2020, 2021 e 2022?

A voi la risposta. Buone vacanze e #unpensieropositivo

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