Terzo condono edilizio: la Cassazione sui due limiti volumetrici

La Corte di Cassazione sui limiti previsti per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria “speciale” ai sensi della normativa sul terzo condono edilizio

di Redazione tecnica - 17/01/2024

Parlare di difformità e abusi edilizi non è affatto semplice o banale ma è certamente un argomento fortemente “divisivo”. L’attuale normativa edilizia (il d.P.R. n. 380/2001, Testo Unico Edilizia) limita fortemente le possibilità di sanatoria all’accertamento di conformità e al requisito della doppia conformità. Un istituto che consente la regolarizzazione dei soli abusi formali, conformi contemporaneamente alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento e al momento della presentazione dell’istanza (l’accertamento di conformità).

3 Leggi speciali sul condono

Normativa ordinaria a parte, in Italia sono state pubblicate 3 leggi speciali che hanno consentito la regolarizzazione di costruzioni e di altre opere eseguite:

  • senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse;
  • in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa.

Stiamo parlando della Legge 28 febbraio 1985, n. 47 (primo condono edilizio) e delle successive leggi n. 724/1994 e n. 326/2003 (di conversione del D.L. n. 269/2003), che ne hanno riaperto la finestra temporale con alcuni limiti applicativi. Su questi limiti negli anni si sono scontrati proprietari e comuni con pronunce della giurisprudenza che hanno ormai fornito alcuni principi consolidati.

Tra queste pronunce ricordiamo la recentissima sentenza della Corte di Cassazione 9 gennaio 2024, n. 694 che ci consente di chiarire uno degli aspetti relativi al “terzo condono edilizio” che l’art. 32, comma 25 del D.L. n. 269/2003 vincola, finestra temporale a parte, alle opere abusive “che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi”.

Il duplice limite di cubatura

La Cassazione (con la sentenza n. 694/2024) ha ricordato che l’applicazione del terzo condono edilizio esige, tra l'altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura:

  • 750 mc in relazione a ciascuna unità abitativa;
  • 3.000 mc in relazione all'intera costruzione.

Secondo un principio costante della Cassazione, l'art. 39, comma 1, della Legge n. 724 del 1994, secondo il quale:

“Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria. I termini contenuti nelle disposizioni richiamate al presente comma e decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, o delle leggi di successiva modificazione o integrazione, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente articolo. I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia. La sanatoria degli abusi edilizi posti in essere da soggetti indagati per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale o per i reati di riciclaggio di denaro, o da terzi per loro conto, è sospesa fino all'esito del procedimento penale ed è esclusa in caso di condanna definitiva.”;

va interpretato nel senso che:

  • ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato;
  • le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità.

Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio.

No al frazionamento artificioso del condono

In definitiva, non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica.

Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella di sanare abusi modesti.

In altri termini, in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, ai fini dell'individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un'unica concessione in sanatoria, onde evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile.

Di conseguenza, va riaffermato il principio giusto il quale, in tema di condono edilizio previsto dal D.L. n. 269/2003, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto.

Ambito oggettivo di applicazione

Molto interessante è il secondo motivo del ricorso per il quale, in relazione al punto 4 della Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005, la riconduzione al limite assentibile di 3.000 mc. Poteva essere effettuato notificando al Comune l'intendimento dell'interessato a demolire, con annessa perizia giurata, come avvenuto nel caso di specie, in quanto la ricorrente, unitamente agli altri interessati, ha comunicato il proprio intento di demolire le opere eccedenti il limite volumetrico assentibile attraverso la presentazione di una CILA.

Tale circolare, in riferimento alle nuove costruzioni, conferma che “In caso di superamento di quest'ultimo limite, pertanto, è preclusa ogni forma di sanatoria, salva la doverosa riconduzione al limite dei 3000 mc. con demolizione delle opere scorporabili eccedenti. In questo caso, alla domanda di sanatoria deve essere allegato un atto d'obbligo da parte dell'interessato a demolire le parti eccedenti i 3.000 mc.”.

Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale che ha ritenuto:

  • per un verso, che le demolizioni eseguite non potevano essere assentite dalla semplice presentazione di una C.I.L.A., trattandosi di un intervento comportante anche la modifica dell'aspetto esteriore del fabbricato, il che avrebbe richiesto il rilascio di un permesso di costruire;
  • per altro verso, che il volume al piano terra, nonostante la demolizione di tramezzi e parte della muratura di tompagno - deve comunque essere ritenuto (ancora) sussistente, in considerazione delle sue caratteristiche tipologiche, ossia la presenza della scala di accesso alle abitazioni private e il collegamento diretto al cortine interno privato.

In definitiva il ricorso è stato respinto e la demolizione confermata.

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