Terzo condono edilizio: nessuna sanatoria in caso di abusi maggiori

Consiglio di Stato: “Gli abusi maggiori non sono mai condonabili quando commessi in zona sottoposta a vincolo in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, indipendentemente che si tratti di vincolo a inedificabilità assoluta o relativa”

di Redazione tecnica - 21/09/2022

Il terzo condono edilizio ha introdotto delle norme più restrittive in ordine alla tipologia di abusi sanabii. Ricordiamo che con la disciplina del condono, prevista dalla legge n. 47/1985, dalla legge n. 724/2004 e dalla legge n. 326/2003, è stata resa possibile la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale di abusi edilizi commessi entro i termini previsti da ciascuno dei provevdimenti citati.

Abusi edilizi maggiori in area vincolata: la sentenza del Consiglio di Stato

Attenzione però, perché nel caso del Terzo Condono Edilizio è stato introdotto un importante paletto relativo al vincolo di inedificabilità esistente sulle aree dove sono stati commessi gli abusi: lo ribadisce anche il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8043/2022, relativa al diniego di condono per diverse opere in area vincolata, consistenti nel frazionamento di un appartamento in due unità abitative e nei lavori di ampliamento tramite la chiusura di portici e terrazzi.

Preavviso di rigetto dell'istanza di condono: è obbligatorio o no?

Secondo gli appellanti, il diniego era illegittimo sia perché non era stato comunicato con preavviso di rigetto, cosa che invece l’Amministrazione avrebbe dovuto fare, ai sensi dell’art. 10bis della legge n. 241/1990; inoltre non si sarebbe trattato di opere rientranti fra gli abusi maggiori, ma di mere opere pertinenziali, funzionali agli spazi già esistenti.

Nel valutare il caso, il Consiglio ha specificato che, ai sensi dell’art. 21 octies l. 241/90, “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.”.

Nel caso di specie, infatti, il contrasto delle opere realizzate con il regime urbanistico dell’area rende il diniego un atto dovuto privo di profili di discrezionalità.

Soltanto qualora il responsabile degli abusi avesse fornito elementi che avrebbero potuto portare al rilascio della sanatoria, allora il provvedimento di rigetto senza preavviso avrebbe potuto essere considerato illegittimo. In questo senso l’art. 21 octies della L. n. 241/90 introduce un onere di allegazione e probatorio “rafforzato” a carico del privato che intende far valere la violazione dell’obbligo, per l’amministrazione, di comunicare preventivamente i motivi ostativi all’accoglimento di una istanza.

Ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione: le definizioni di Palazzo Spada

Non si tratta di questo caso: le opere oggetto della domanda di condono implicavano aumento di volumi, cosa che impedisce di qualificarli come meri risanamenti conservativi né come interventi di mera ristrutturazione. Sul punto si richiama un’altra sentenza di Palazzo Spada, nella quale è stato precisato che:

  • nelle opere edilizie, la semplice ristrutturazione si verifica quando gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, interessano un edificio nel quale sussistano e, all'esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura;
  • è ravvisabile invece l'ordinaria ricostruzione allorché vengono meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, le succitate componenti essenziali dell'edificio preesistente e l'intervento si traduce nell'esatto ripristino delle stesse, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio e, soprattutto, senza aumenti di volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro;
  • diversamente, in presenza di aumenti di volumetria, si verte in ipotesi di nuova costruzione, con i relativi effetti, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui esistenti, come previsto dagli strumenti urbanistici vigenti, imponendo di considerarle quale intervento di nuova costruzione, cioè quale abuso edilizio “maggiore” ai sensi della tabella allegata al D.L. n. 269/2003 (cd. “Terzo Condono Edilizio”).

Gli abusi edilizi maggiori e il condono edilizio

L’istanza di condono, oggetto del diniego impugnato in questo giudizio, è stata presentata ai sensi del D.L. n. 269/2003. Ricorda il Consiglio di Stato che la giurisprudenza della Sezione è ormai da tempo assestata nel senso che il condono edilizio di cui al D.L. n. 269/2003, convertito nella L. n. 326/2003, non è consentito se abbia ad oggetto “abusi maggiori” commessi in zona sottoposta, precedentemente alla realizzazione delle opere, a vincolo.

Secondo le previsioni di cui alla L. 326/2003, gli “abusi maggiori” non sono mai condonabili quando commessi in zona sottoposta a vincolo in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, indipendentemente che si tratti di vincolo a inedificabilità assoluta o relativa: in tali situazioni, dunque, è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistico, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione e realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della l. 326/2003.

Per questo motivo le appellanti avrebbero dovuto eventualmente produrre documentazione atta a sostenere la qualificazione delle opere abusive tale da consentire l’accesso al condono, per potere ritenere illegittimo il diniego in assenza di preavviso, ad esempio, allegando il travisamento in fatto, in relazione ad eventuali errori commessi dal Comune nella ordinanza di demolizione, nella descrizione delle opere abusive.

Il concetto di pertinenza urbanistica

Tenuto conto della descrizione delle opere effettuata nell’ordine di demolizione, non si tratta di opere di natura pertinenziale, o di mero adeguamento funzionale, essendosi l’intervento compendiato nella chiusura, di due portici e nell’inglobamento della relativa volumetria all’interno delle unità abitative ivi esistenti, che sono state ampliate.

Il Collegio ricorda in proposito che “la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile, infatti, soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica”.

Essendo la nozione di "pertinenza urbanistica" meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. non può ritenersi consentita la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale.

Inoltre un’opera di modeste dimensioni, quantunque non suscettibile di una utilizzazione economica diversa da quella in concreto svolta a servizio del fabbricato principale, deve però essere riconoscibile come entità distinta rispetto a questo ultimo, il che non può predicarsi quando la superficie dell’opera venga inglobata all’interno del fabbricato che si assume principale, aumentando la superficie di locali preesistenti: di conseguenza, ci si trova di fronte ad un ampliamento del fabbricato principale che non rappresenta un’opera pertinenziale.

L’appello è stato quindi respinto, confermando la legittimità del diniego di condono per opere eseguite in assenza di permesso di costruire in area vincolata e non sanabili ai sensi della Legge n. 326/2003.

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