Violazione distanze e altezze tra edifici: chiarimenti dal Consiglio di Stato

Palazzo Spada ricorda quanto prevede il D.M. n. 1444/1968 per le nuove edificazioni in relazione a manufatti preesistenti

di Redazione tecnica - 05/04/2023

L’altezza massima delle nuove costruzioni va messa in relazione non soltanto ai manufatti preesistenti confinanti, ma anche agli edifici che si trovano in un rapporto di ragionevole prossimità con il sedime oggetto del titolo edilizio, fermo restando che questa comparazione non può estendersi all’intera zona o fascia territoriale o comparto nel cui ambito il sedime è ubicato.

Violazione altezze fabbricati: la sentenza del Consiglio di Stato

Lo spiega il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3115/2023, nel valutare un caso presunto di violazione delle altezze e delle distanze legali tra edifici, prendendo come riferimento quanto disposto dall’art. 8 del D.M. n. 1444/1968.

Il caso nasce dal ricorso presentato contro un Comune, che aveva respinto l’istanza per la decadenza di un permesso di costruire concesso per la demolizione di un capannone industriale e la realizzazione e di un nuovo edificio residenziale. Secondo i ricorrenti, era stata superata l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, non essendo a tal fine rilevante il rispetto della previsione delle NTA, per cui l’altezza massima degli edifici è di 12 metri in caso di nuova edificazione, stante la prevalenza della normativa nazionale di cui all’art. 8 del d.m. n. 1444/1968, che fissa l’altezza massima dei nuovi edifici nelle zone “B” facendo riferimento a quella degli “edifici preesistenti e circostanti”. Inoltre sarebbe stato comunque superato il limite di altezza di 12 metri, in quanto il locale sottotetto sarebbe stato in realtà abitabile e dovrebbe pertanto essere stato incluso.

Altezza massima degli edifici: criteri di calcolo

Sul punto, Palazzo Spada ha ricordato che per gli edifici siti in zona omogenea B, l’art. 8 d.m. n. 1444/1968 prevede che “l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con l’eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiari di cui all’art. 7”.

Per la definizione del concetto di “circostante o limitrofo” la costante giurisprudenza definisce come “edifici circostanti” quelli che si trovano intorno all’area oggetto del permesso, senza poter estendere l’area di interesse ad ulteriori concetti come zona o fasce territoriale o comparto. In ogni caso l’intento di restringere l’area di confronto non può essere portato all’estremo, ritenendo rilevanti ai fini del calcolo dell’altezza ammissibile i soli edifici confinanti, trattandosi di locuzione di distinto significato oggettivamente riferibile ad un ambito più circoscritto.

Per questo motivo, Il Consiglio ritiene che possano fungere da parametro ex art. 8 d.m. n. 1444/1968 le costruzioni (almeno tre), di altezza pari o superiore a quella di 12 metri, che, sebbene non confinanti con il terreno interessato dall’erigendo edificio, insistano nell’area circostante, comunque circoscritta e non eccessivamente estesa. Nel caso in esame, nel raggio di 200 metri della palazzina, ci sono edifici che raggiungono anche i 14 metri di altezza, motivo per cui non si è in presenza di violazione delle altezze.

Distanze minime tra edifici: le previsioni del D.M. n. 1444/1968

Allo stesso modo, il Consiglio ha respinto le lamentele sul mancato rispetto della normativa sulle distanze tra edifici. Risulta infatti irrilevante, l’invocata disciplina di cui all’art. 3.4.12 del Regolamento locale di igiene, per cui la distanza fra l’edificio in costruzione  e il fabbricato dei ricorrenti dovrebbe essere maggiore dell’altezza dell’edificio più alto.Si tratta di una norma non sempre cogente e finalizzata a rimuovere eventuali “ostacoli all’aeroilluminazione”, che, nella presente fattispecie, tuttavia non si ravvisano.

È necessario invece applicare la disciplina di cui all’art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che prescrive, per i nuovi edifici, la distanza minima assoluta di dieci metri tra le pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Per costante giurisprudenza, la funzione della norma è quella di assicurare che fra edifici frontistanti non si creino intercapedini dannose per la salubrità, in quanto tali da non permettere un adeguato afflusso di aria e di luce, essendo quindi volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie.

Peraltro, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare, perpendicolare ed ortogonale, in quanto, come detto, lo scopo perseguito dal legislatore è quello di evitare le intercapedini dannose.

Considerato che in questo caso l’impresa di costruzioni aveva eliminato i balconi aggettanti che violavano la distanze minime legali tra edifici, il Consiglio ha ritenuto decaduto l’interesse al ricorso, che è stato respinto nel suo complesso.

 

© Riproduzione riservata

Documenti Allegati