Abusi edilizi: ordine di demolizione atto dovuto

Consiglio di Stato: “...i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l’ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento”

di Redazione tecnica - 12/05/2023

Sull’ordine di demolizione emesso come sanzione nei confronti degli abusi edilizi esiste ormai una copiosa giurisprudenza che ne ha chiarito la natura e le peculiarità. Sulla scia di questo indirizzo si è espresso (nuovamente) il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4665 del 9 maggio 2023 che ci consente di approfondirne ulteriormente i contorni.

L’ordine di demolizione è un atto dovuto

Chiarito che il primo passo della pubblica amministrazione è l’accertamento di un eventuale abuso edilizio, l’indirizzo condiviso della giurisprudenza amministrativa ritiene che i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l’ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’Amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene.

L’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve assicurare le garanzie partecipative, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di diposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.

La comunicazione di avvio del procedimento

L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultando rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un’effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il cui comma 2 recita:

Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis.

Le motivazioni

Altro punto esaminato e confermato dalla nuova sentenza del Consiglio di Stato riguarda le motivazione alla base dell’ordine di demolizione. I giudici di secondo grado hanno ricordato che, stante la natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e indirizzo, l’ordinanza di demolizione non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, né alcuna comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né il decorso del tempo può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.

Opere precarie, pertinenziali e vincoli

Ultimo interessante rilievo del Consiglio di Stato riguarda gli abusi edilizi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesistico. Nel caso di specie gli appellanti hanno sostenuto che le opere di cui si discute avrebbero natura precaria o pertinenziale e, quindi, assentibili con mera D.I.A. (oggi SCIA).

I giudici hanno però ricordato che l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (nella specie ha trovato applicazione l’art. 31) non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Ciò, in quanto, tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici e anche se considerate eventuali pertinenze, per ragioni di esigenza di tutela del paesaggio, devono essere sottoposte alla previa valutazione degli organi competenti.

Viene inoltre contestato che in primo grado si sarebbe errato nel ritenere legittimo l’assoggettamento delle difformità all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, qualificandole come “variazioni essenziali” per via della loro realizzazione su immobile sottoposto a vincolo paesistico. Sostiene che, al contrario, la normativa applicabile sarebbe dovuta essere quella dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto quella in esame si rivela essere una difformità “parziale”, realizzata nel sostanziale rispetto della tipologia edilizia progettata.

Come correttamente precisato dal Collegio di prime cure, nella specie, trova applicazione l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sanziona con la demolizione le opere abusive in zone vincolate. L’ultimo comma dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce chiaramente che gli interventi abusivi su beni vincolati sono considerati come eseguiti in ‘totale difformità’ dalla concessione, rappresentando una variazione essenziale e, in quanto tale, sono suscettibili di essere demoliti ai sensi dell’art. 31, comma 1, e dell’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 cit.

In presenza di opere edificate senza titolo edilizio, e a maggior ragione in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, sia essa ai sensi del citato art. 31, di cui si è fatta applicazione nel provvedimento impugnato, che dell’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001, è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato. Oltre al fatto che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che le opere vanno considerate nel loro complesso.

La considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione. In caso di abuso edilizio non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante, bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni.

In definitiva l’appello è stato respinto e la demolizione confermata anche in secondo grado.

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