Blocco cessione crediti edilizi: nuova sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta l'applicabilità del sequestro preventivo nei confronti del cessionario anche in buona fede

di Redazione tecnica - 25/11/2022

Il problema è semplice nella sua complessità e così riassumibile: difficilmente banche e altri soggetti qualificati torneranno ad acquistare crediti edilizi. Le motivazioni alla base sono diverse tra le quali i continui cambi normativi ma soprattutto le scarse garanzie offerte da questi crediti.

Blocco crediti edilizi: interviene la Cassazione

Ne avevamo già parlato commentando le prime 5 sentenze della Corte di Cassazione che ha messo in risalto il problema del sequestro preventivo del credito acquistato dai cessionari, per poi passare ai chiarimenti riguardanti il visto di conformità da rilasciare solo per lavori effettivamente realizzati e alle false asseverazioni dei professionisti.

Oggi analizziamo un nuovo intervento della Corte di Cassazione che con la sentenza 23 novembre 2022, n. 44647 completa il quadro di riferimento relativo alla cessione dei crediti edilizi maturati per operazioni inconsistenti.

Nel caso di specie viene contestata in cassazione la decisione di un giudice che aveva confermato che la pacifica buona fede di Poste Italiane s.p.a., persona offesa dai reati di truffa, consentirebbe alla stessa società, così come a terzi cessionari incolpevoli, di far circolare i crediti fiscali (ovvero di portarli in compensazione con i crediti dell'Erario). Tesi completamente smentita dagli ermellini.

Cessione dei crediti: il quadro normativo

Ma prima di passare in rassegna la decisione della Suprema Corte, facciamo un riepilogo su quanto prevede la norma relativa alla cessione dei crediti edilizi di cui all'art. 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), cui occorre aggiungere i correttivi arrivati nel corso del 2022, tra i quali:

  • l'art. 28-ter, comma 1 del Decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Decreto Sostegni-bis) con il quale è stato disposto che:
    L’utilizzo dei crediti d’imposta di cui agli articoli 121 e 122 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020, nel caso in cui tali crediti siano oggetto di sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, può avvenire, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro, entro i termini di cui agli articoli 121, comma 3, e 122, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 34 del 2020, aumentati di un periodo pari alla durata del sequestro medesimo, fermo restando il rispetto del limite annuale di utilizzo dei predetti crediti d’imposta previsto dalle richiamate disposizioni. Per la medesima durata, restano fermi gli ordinari poteri di controllo esercitabili dall’Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti che hanno esercitato le opzioni di cui agli articoli 121 e 122 del medesimo decreto-legge n. 34 del 2020.
  • l'art. 28, comma 3 del Decreto-Legge 9 agosto 2022, n. 115 (Decreto Aiuti-bis) per il quale sono nulli i contratti di cessione conclusi in violazione delle disposizioni di cui all’articolo 121, comma 1, del Decreto Rilancio;
  • l'art. 33-ter del Decreto-Legge 9 agosto 2022, n. 115 (Decreto Aiuti-bis) che, nella sua versione coordinata con la legge di conversione, ha previsto una limitazione al concetto di responsabilità solidale con una modifica dell’articolo 14 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Decreto Aiuti), a cui vanno inseriti i seguenti due nuovi commi:
    1-bis.1. All’articolo 121, comma 6, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, dopo le parole: ‘in presenza di concorso nella violazione’ sono inserite le seguenti: ‘con dolo o colpa grave’. Le disposizioni introdotte dal presente comma si applicano esclusivamente ai crediti per i quali sono stati acquisiti, nel rispetto delle previsioni di legge, i visti di conformità, le asseverazioni e le attestazioni di cui all’articolo 119 e di cui all’articolo 121, comma 1-ter, del citato decreto-legge n. 34 del 2020.
    1-bis.2. Per i crediti di cui all’articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, sorti prima dell’introduzione degli obblighi di acquisizione dei visti di conformità, delle asseverazioni e delle attestazioni di cui al comma 1-ter del medesimo articolo 121, il cedente, a condizione che sia un soggetto diverso da banche e intermediari finanziari iscritti all’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, da società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo di cui all’articolo 64 del predetto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ovvero da imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e che coincida con il fornitore, acquisisce, ora per allora, ai fini della limitazione a favore del cessionario della responsabilità in solido di cui al comma 6 del predetto articolo 121 ai soli casi di dolo e colpa grave, la documentazione di cui al citato comma 1-ter.

Il sequestro del credito in assenza di colpa

Tutte disposizioni che non sono servite a risolvere il grave problema del sequestro del credito. Secondo la Cassazione, infatti, non appare condivisibile la ricostruzione dei giudici del Tribunale per i quali "il vizio che inficia la detrazione fiscale spettante al beneficiario, anche laddove si risolva nella radicale nullità o inesistenza della stessa, difettando un presupposto essenziale come l'effettuazione dei lavori edili che darebbero diritto al beneficio, non si trasferisce sul credito d'imposta di cui il fornitore o il cessionario sia divenuto titolare per effetto dell'esercizio dell'opzione da parte del beneficiario stesso".

La Corte di Cassazione chiarisce definitivamente che dalla normativa richiamata nell'ordinanza non si ricava affatto detta conclusione, che legittimerebbe un inammissibile scollamento tra il presupposto per l'insorgenza del credito e il credito stesso: quest'ultimo, frutto di false fatturazioni, sarebbe azionabile e liberamente circolabile (ovvero potrebbe essere portato in compensazione) pur in assenza del primo.

Proprio per questo motivo, il Pubblico Ministero ricorrente ha sostenuto che tali disposizioni si riferiscono esclusivamente alle ipotesi "in cui il bonus fiscale sia stato azionato per lavori realmente effettuati, spese realmente sostenute, ma, ad esempio, giudicate non tutte rientranti tra quelle per le quali, ai sensi del medesimo D.L., il bonus è applicabile" e non ad ipotesi "del tutto patologiche, come quelle oggetto del presente procedimento, nelle quali i crediti d'imposta derivano da detrazioni d'imposta oggetto di pura invenzione".

La normativa sulla cessione del credito di cui all'art. 121 del Decreto Rilancio prevede due opzioni alternative alla detrazione diretta ma restano una derivazione dell'originario diritto, finalizzate a ottenere la immediata monetizzazione dello stesso.

Benché il comma 6 dell'art. 121 richiamato escluda il recupero delle somme nei confronti del cessionario in buona fede che non abbia concorso nella violazione dell'originario beneficiario della detrazione, non legittima lo stesso a detenere e utilizzare crediti d'imposta "inesistenti" in quanto privi di un legittimo titolo originario, generatore dei crediti poi ceduti.

In definitiva, dal combinato disposto dagli artt. 28 e 28-ter del D.L. n. 22/2022:

  • da una parte viene contemplata espressamente la possibilità del sequestro dei crediti d'imposta ceduti anche nei confronti del cessionario;
  • dall'altra prevede la nullità dei contratti di cessione qualora conclusi in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 121, comma 1, 122, comma 1, e del comma 2 dello stesso art. 28, così confermando ulteriormente il carattere derivativo dell'istituto.

Crediti ceduti, truffe e sequestro impeditivo

Secondo gli ermellini, i crediti ceduti, originati da emissioni di fatture per operazioni inesistenti, nella prospettiva del ricorrente costituiscono il profitto dei reati di truffa, considerato che in tale nozione vanno ricompresi non solo i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto mediato e indiretto della sua attività criminosa.

Come già affermato nelle recenti sentenze di ottobre citate, il sequestro impeditivo richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res e il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, non essendo invece sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res e il reato commesso.

Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di Cassazione, il sequestro preventivo di tipo impeditivo «implica l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del sequestro anche le cose in proprietà di terzo estraneo, se la loro libera disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato stesso».

Lo stato di buona fede del terzo estraneo al reato rileva soltanto ove il sequestro sia stato disposto esclusivamente in quanto funzionale alla confisca, ai sensi dell'art. 321, comma 2, del codice di rito. La buona fede di Poste Italiane s.p.a., persona offesa dalle truffe e cessionaria dei crediti, non preclude, dunque, il sequestro preventivo, dovendosi altresì rilevare che detto stato sussisteva indubbiamente solo al momento dell'acquisto dei crediti, quando la società non era al corrente della inesistenza di un legittimo titolo originario.

Per questo motivo la Cassazione ha annullato la decisione dei giudici, rinviando ad una nuova decisione conforme ai principi sopra enunciati, verificando se sussistono tutti i presupposti per la conferma del sequestro disposto dal G.i.p. ai sensi dell'art. 321, comma 1, del codice di rito.

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