Cessione del credito: se è pro solvendo, il rischio resta al committente
La Corte d’Appello di Milano: se il credito fiscale non si concretizza per cause non imputabili all’appaltatore, il pagamento spetta comunque al committente
Con la sentenza n. 1078/2025, depositata il 16 aprile 2025, la Corte d’Appello di Milano ha affrontato una questione cruciale nel contenzioso che ruota attorno ai bonus edilizi e, in particolare, alla tenuta dei meccanismi di pagamento fondati sulla cessione del credito fiscale. Il caso offre lo spunto per approfondire il significato operativo di una distinzione tanto nota quanto spesso fraintesa: quella tra cessione del credito pro soluto e pro solvendo. Una differenza che, come dimostra il caso esaminato dalla Corte milanese, può determinare l’esito di una controversia e ribaltare decisioni già prese in primo grado.
Il contenzioso prende avvio da un contratto di appalto stipulato nel 2021 per lavori di efficientamento energetico, con pagamento previsto tramite sconto in fattura e successiva cessione del credito d’imposta maturato. La fattura, emessa il 15 dicembre 2021, non fu però monetizzata dall’appaltatore, a causa dell’entrata in vigore di normative restrittive (DL 157/2021 e DL 4/2022) che resero più complessa la procedura. Il condominio, ritenendosi libero da obblighi di pagamento, si oppose al decreto ingiuntivo richiesto dall’impresa. In primo grado ebbe ragione. Ma la Corte d’Appello ha riformato integralmente la sentenza, riconoscendo che la responsabilità del mancato incasso non poteva essere imputata all’appaltatore e che il pagamento spettava comunque al committente.
Il cuore della decisione: la natura della cessione
Al centro della pronuncia c’è la qualificazione della cessione del credito come pro solvendo. La Corte rileva che le parti, nel disciplinare contrattualmente la modalità di pagamento tramite sconto in fattura, avevano previsto una clausola di salvaguardia: qualora il credito non fosse stato correttamente o tempestivamente utilizzato – ad esempio per effetto di mutate condizioni normative – il condominio sarebbe rimasto comunque obbligato al pagamento del corrispettivo residuo, da effettuarsi tramite bonifico ordinario.
È qui che la distinzione tra cessione pro soluto e pro solvendo assume rilievo centrale. Nel primo caso, il cedente si libera dell’obbligazione nel momento in cui effettua la cessione: se il cessionario non incassa il credito, non può rivalersi sul cedente. La cessione pro solvendo, invece, mantiene in capo al cedente l’obbligo di garanzia: se il credito non viene incassato, l’originario debitore può essere chiamato comunque a pagare. Ed è proprio questo il meccanismo pattuito dalle parti, come confermato dall’articolo 5 del contratto richiamato in sentenza.
Ne consegue che il condominio, pur avendo formalizzato la cessione del credito, non può ritenersi liberato dall’obbligazione laddove tale cessione non abbia avuto effetti pratici. E non basta invocare, come fatto dalla controparte, il mutato quadro normativo: la Corte evidenzia che già a inizio dicembre 2021 l’appaltatore aveva informato l’amministratore della necessità di attivarsi per l’ottenimento del visto di conformità, condizione indispensabile per finalizzare la cessione. L’inerzia della committente, culminata in un’attivazione tardiva (il visto fu ottenuto solo il 31 gennaio 2022), è stata ritenuta elemento sufficiente per attribuire la responsabilità dell’insuccesso della procedura al condominio stesso.
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