Condono edilizio: niente modifiche in pendenza dell'istanza

Il condono straordinario non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi

di Redazione tecnica - 13/03/2023

Dal 1985 il patrimonio edilizio italiano ha avuto la possibilità di utilizzare tre norme speciali (1985, 1994 e 2003) che hanno consentito di conseguire la sanatoria (condono edilizio) di costruzioni e di altre opere eseguite in assenza di titolo edilizio. Una possibilità che, però, ha anche generato situazioni "paradossali" di istanze pendenti e conservate nei cassetti di molte pubbliche amministrazioni, che limitano (ma non annullano) le possibilità di intervento sull'immobile.

Secondo Condono edilizio: il Consiglio di Stato sulle istanze in pendenza

In pendenza di un'istanza di condono edilizio, quali sono gli interventi concessi al proprietario dell'immobile? Ha risposto a questa domanda il Consiglio di Stato con la Sentenza 10 marzo 2023, n. 2568 che ci consente di fare il punto della situazione.

Il caso di specie riguarda un'istanza di condono presentata ai sensi dell’art 39 della Legge n. 724/1994 (secondo condono edilizio) che ha riaperto i termini previsti dalle disposizioni di cui ai capi IV e V della Legge n. 47/1985 (primo condono edilizio) a determinate condizioni. Tale art. 39, al comma 1 prevede:

1. Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria. I termini contenuti nelle disposizioni richiamate al presente comma e decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, o delle leggi di successiva modificazione o integrazione, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente articolo. I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia. La sanatoria degli abusi edilizi posti in essere da soggetti indagati per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale o per i reati di riciclaggio di denaro, o da terzi per loro conto, è sospesa fino all'esito del procedimento penale ed e' esclusa in caso di condanna definitiva.

Il caso di specie

Nel caso oggetto del nuovo intervento di giudici di Palazzo Spada, viene contestato il diniego di concessione edilizia in sanatoria, avente ad oggetto la realizzazione di una “tettoia ad uso artigianale e muro di contenimento in cls e parte in blocchetti di cemento” e la successiva ordinanza di demolizione del manufatto abusivo.

In primo grado il TAR ha ritenuto che il diniego di sanatoria fosse legittimo in quanto successivamente alla domanda gli appellanti avevano apportato modifiche strutturali all’opera, realizzando una nuova tettoia delle dimensioni di mq. 650 con altezza pari a ml. 6,00 al colmo e ml. 4,70 e 3,30 in luogo della precedente di mq. 135.

Gli appellanti, però, hanno ritenuto che tali modifiche fossero irrilevanti in quanto l’opera non è stata ricostruita ex novo ma solo modificata ed ampliata. Inoltre, trattandosi di tettoia aperta su tre lati:

  1. non costituirebbe un volume ai fini edilizi e non comporterebbe un aumento del carico urbanistico (non vi sarebbe dunque alcuna trasformazione edilizia ostativa all’approvazione della domanda di condono);
  2. non si porrebbe in contrasto con lo strumento urbanistico, in quanto in relazione alla zona agricola E1 il vigente PRG stabilisce che è possibile realizzare interventi per la costruzione di ricoveri e rimesse per il bestiame, fienili e ricoveri per attrezzi.

Secondo gli appellanti, dunque, il Comune avrebbe dovuto rilasciare il permesso di costruire in sanatoria nei limiti della domanda.

La decisione del Consiglio di Stato

Dalla documentazione in atti emerge che a seguito della presentazione dell’istanza di condono gli appellanti hanno realizzato una nuova tettoia, diversa da quella oggetto della domanda di condono per materiali utilizzati e volumetria totale.

Palazzo Spada ha, dunque, ricordato un principio della più recente giurisprudenza secondo cui “Va parimenti condivisa la valutazione unitaria degli interventi, nonché il richiamo all’orientamento per cui, in pendenza di procedimento di condono di un manufatto, gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne la conservazione: essi non possono spingersi all'esecuzione di opere destinate a mutarne la struttura, i volumi, i prospetti, salvo che siano indispensabili — previa, in tal caso, necessaria preventiva interlocuzione con l'Amministrazione — al fine di consentire di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo per verificarne la condonabilità. La normativa sul condono postula la permanenza dell'immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive né finanche l'impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari, comportanti di fatto la qualificazione dell'intervento come sostituzione edilizia, venendo meno la continuità tra vecchia e nuova costruzione e l'attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell'istanza di condono“.

Pertanto, “la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi”.

La ratio della norma

Secondo il Consiglio di Stato, la ratio di tale orientamento risiede:

  • da una parte, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento (ciò per la ragione che il condono straordinario ex L. 47/85 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni);
  • d’altra parte v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.

L’art. 35, comma 14, della Legge n. 47/85 (richiamata dalla norma sul secondo condono), consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile.

Un principio che deve essere considerato norma di stretta interpretazione, la cui violazione innesta la presunzione che l’immobile oggetto di condono sia stato trasformato in modo tale da non consentire all’amministrazione di determinare in modo preciso la consistenza delle opere oggetto dell’abuso originario.

Spetta allora all’interessato dimostrare che l’intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è assolutamente conforme a quello rappresentato nella istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per la ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz’altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione.

Conclusioni

È, dunque, irrilevante oltre che infondato l’assunto dei ricorrenti secondo il quale l’opera non costituirebbe un novum rispetto a quella precedente, essendo sufficiente che gli interventi eseguiti abbiano comportato una significativa modificazione dello stato dei luoghi, come avvenuto nel caso di specie.

Inoltre, la nuova opera non potrebbe neanche essere sanata per effetto dell’approvazione della domanda presentata in precedenza, considerato che la nuova costruzione non costituisce l’oggetto dell’istanza e che, in ogni caso, nel caso di specie essa è stata realizzata in data successiva al 31 dicembre 1993, termine di ultimazione delle opere ai fini della presentazione della domanda di condono ex art 39 l. 724/1994.

Niente sanatoria condizionata

Interessante è, altresì, il secondo motivo dell'appello, subordinato al primo, per cui il ricorrente censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondata la pretesa dei ricorrenti ad ottenere un permesso di costruire in sanatoria “condizionato” alla demolizione della porzione eccedente la domanda.

Il TAR ha ritenuto tale opzione preclusa alla luce del principio di tipicità del potere amministrativo, che non consente di configurare un condono edilizio “condizionato” nei termini prospettati dalla parte ricorrente.

Al riguardo, il Consiglio di Stato, confermando la tesi del TAR, ha rilevato che sarebbe sufficiente osservare che l’opera è strutturalmente diversa da quella oggetto della domanda di condono, sicché anche l’eventuale demolizione della volumetria eccedente non comporterebbe la reviviscenza della precedente tettoia.

Il potere di sanatoria edilizia è un potere tipico ed eccezionale esercitabile dall’amministrazione esclusivamente al ricorrere dei requisiti determinati dalla legge, fra i quali l’ultimazione delle opere entro la data del 31 dicembre 1993 e la presentazione dell’istanza entro il 31 marzo 1995 ed il pagamento di un’oblazione commisurata alla consistenza delle opere.

Nel caso di specie l’opera è stata ricostruita in epoca successiva alla presentazione dell’istanza e non è oggetto di alcuna domanda di sanatoria edilizia; pertanto l’apposizione di una condizione al provvedimento di sanatoria nei termini prospettati dagli appellanti consentirebbe l’ottenimento del condono in casi non previsti dalla legge e comporterebbe un’elusione dei suddetti requisiti, ponendosi in contrasto con il principio di tipicità del potere in questione.

Né appare applicabile al caso di specie il disposto dell’art 21 quater l. 241/90, ai sensi del quale “L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento di cui all'articolo 21-nonies”. Da un lato, infatti, nel caso di specie non sussistono le “gravi ragioni” richieste dalla norma per sospendere l’esecutività del provvedimento; dall’altro la demolizione del manufatto, essendo un evento futuro ed incerto rimesso all’iniziativa dell’istante, non è configurabile come termine ma come condizione.

© Riproduzione riservata