Condono edilizio e vincolo inedificabilità, interviene il Consiglio di Stato

Palazzo Spada spiega quando è possibile concedere il condono anche in caso di zona su cui è apposto il vincolo paesaggistico

di Redazione tecnica - 14/06/2022

Un’istanza di condono relativa a un abuso commesso in zona vincolata può essere accettata, qualora pervengano determinate condizioni. Lo spiega il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4172/2022, inerente il ricorso in appello contro un’amministrazione comunale che aveva negato il condono per l’ampliamento di circa 90 mq di un edificio in zona con vincolo paesaggistico, apposto con D.M. 31 ottobre 1961.

Condono edilizio e vincolo inedificabilità: la sentenza del Consiglio di Stato

Nonostante il diniego ricevuto dal Comune, con conseguente ordine di demolizione, i ricorrenti avevano presentato un’istanza di accertamento di conformità paesaggistica ex art. 167, comma 4, del D. Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni Culturali e del Paesaggio), documentando anche l’impossibilità di procedere all’integrale demolizione dell’intero abuso senza pregiudizio per la staticità della restante parte del manufatto.

Sul merito, la Soprintendenza si è espressa in senso positivo, ai sensi dell’art. 32, comma 1, della L. n. 326/2003 (cd. Terzo Condono Edilizio), ritenendo i volumi oggetto di contestazione già documentati nel 2004 e quindi “eseguiti in un arco temporale precedente a tale anno”.

In particolare, la Soprintendenza riteneva gli aumenti “ben integrati nella fisionomia dei fabbricati” e, quindi, “non leggibili come un’alterazione impropria delle linee architettoniche degli stessi” e che le opere contestate “per la loro natura e consistenza, non arrecassero sostanziale pregiudizio ai valori paesaggistici dell’area sottoposta a tutela”. Ciò nonostante, secondo il Comune l’ampliamento eccedeva l’indice di fabbricabilità prescritto dagli strumenti urbanistici vigenti, confermando il diniego di condono, avvallato anche dal TAR.

Deroghe al vincolo di inedificabilità

Da qui il ricorso in appello: secondo i proprietari dell’immobile, anche se gravata da vincolo paesaggistico, sull’area in esame non vigerebbe un divieto assoluto di edificabilità e che le NTA ammetterebbero gli ampliamenti eseguiti, consentendo nuove edificazioni esclusivamente alle seguenti condizioni: ampliamento di edifici esistenti o nuova edificazione solo per attrezzature agricole, con indice di edificabilità di 0,001 mq.”.

Il Tar sarebbe, quindi, incorso in una errata applicazione della norma di cui all’art. 32, comma 27 lett. d) del D. L. n. 269/2003 che non ammette a sanatoria le opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e reginali a tutela di beni ambientali e paesistici non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso, sulla base della legittimazione da parte delle NTA di due tipologie di interventi:

  • ampliamenti di manufatti esistenti;
  • nuove edificazioni per attrezzature agricole.

L’intervento di ampliamento poteva essere inibito non in quanto tale, ma solo se rilevante ai fini paesaggistici, oppure, se contrastante con il relativo vincolo. Non era infatti previsto un vincolo di inedificabilità assoluta, come oltretutto dimostra il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza in relazione all’intervento.

Tutto questo implica l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 32, comma 27 lett. d) del D. L. n. 269/2003 laddove, non ammette a sanatoria le opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e reginali a tutela di beni ambientali e paesistici non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Di conseguenza, sia il diniego di condono che l’ordine di demolizione sono illegittimi, ragion per cui non ricorrono nemmeno i presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della misura demolitoria, sul presupposto che la valutazione della possibilità di procedere alla demolizione afferirebbe alla fase esecutiva e che la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe consentita unicamente in presenza interventi in parziale difformità dal titolo e non anche in presenza di variazioni essenziali.

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