Demolizione e ricostruzione: serve la continuità con l'edificato pregresso?

La Cassazione Penale interviene sulla configurabilità o meno di ristrutturazione edilizia per un intervento di demolizione e ricostruzione senza continuità con l'edificato pregresso

di Gianluca Oreto - 23/01/2023

Dalla nascita ed evoluzione dei principali bonus edilizi, uno degli argomenti più interessanti e al contempo controversi che hanno impegnato il legislatore, i tecnici ma soprattutto i tribunali riguarda la definizione di "ristrutturazione edilizia" contenuta all'interno dell'art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizio).

Ristrutturazione edilizia: interviene la Cassazione

Una definizione che negli ultimi anni è stata ripetutamente modificata a colpi di provvedimenti d'urgenza (Decreti Legge) ad ulteriore e sempre più persistente conferma dell'incapacità del legislatore di affrontare in modo organico una materia che mai come adesso necessiterebbe di una copiosa rivisitazione normativa.

Il testo unico edilizia è, infatti, del 2001 e nel suo primo ventennio di applicazione ha ormai ricevuto un numero impressionante e incalcolabile di modifiche che non sono mai riuscite nell'intento di eliminare il quel “microscopio” da una definizione delle regole al momento inapplicabili in un tessuto immobiliare "vittima" di 3 condoni edilizi, di una scarsa vigilanza della pubblica amministrazione ma soprattutto di mutate esigenze delle famiglie italiane.

La definizione di ristrutturazione edilizia riceve adesso una nuova interpretazione da parte della Cassazione Penale che con la sentenza 18 gennaio 2023, n. 1669 aggiunge nuovi elementi che, come spesso accade, saranno oggetto di analisi tecniche a favore o contro.

La definizione nel Testo Unico Edilizia

Partiamo dalla considerazione che nel caso oggetto dell’intervento degli ermellini è utilizzabile l’ultima definizione di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico Edilizia ovvero:

gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

Una definizione che conferma la ristrutturazione edilizia per gli interventi di demolizione e ricostruzione anche in caso di modifica di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, ma che conferma la necessità di mantenere queste ultime peculiarità nel caso di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico.

Sostanzialmente, in caso di immobili sottoposti a tutela ma ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del Codice dei beni culturali stessi, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti, per essere considerati ristrutturazione edilizia, devono mantenere sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non prevedere incrementi di volumetria.

Come anticipato, il tema è già stato oggetto di parecchi nostri approfondimenti tra i quali cito solo i seguenti:

Il caso oggetto della nuova sentenza della Cassazione

Il caso oggetto del nuovo intervento della Cassazione riguarda il contestato reato di lottizzazione (art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380/2001) relativo alla demolizione di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica.

Il tema da analizzare, neanche a dirlo, è quello della configurabilità o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia.

Nella prima parte della sentenza gli ermellini ricordano i contenuti dell’art. 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico Edilizia, rilevando che nonostante l’ampliamento della sua definizione con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela, rimarrebbe comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, ovvero la preesistenza del fabbricato da ristrutturare e il recupero dello stesso, pur con le ammesse modifiche e/o ampliamenti.

Secondo la Cassazione, la giurisprudenza amministrativa avrebbe evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l'edificato pregresso. Per rimanere all’interno del perimetro di definizione della ristrutturazione edilizia, dunque, non si dovrebbe prescindere dalla necessità che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero.

Ricostruzione manufatti collabenti

Con una analisi “poco tecnica” e molto “giuridica”, gli ermellini hanno ammesso che “la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto”.

Analisi che sarebbe in linea con l’interpretazione della definizione stessa di ristrutturazione edilizia che sia “aderente alla (e non tradisca la) finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalità che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione”.

Conclusioni

Concetti che secondo la Cassazione troverebbero conferma nell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficienta mento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Confermati anche dalla lettura stessa del citato articolo 3, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (art. 3, comma 1, lett. e) del Testo Unico Edilizia stesso), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia.

Volendo concludere, secondo la Cassazione non vi è spazio alla definizione di ristrutturazione edilizia per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente.

In allegato la sentenza della Cassazione, della quale se ne consiglia una attenta lettura.

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