Monetizzazione standard urbanistici e contributo di costruzione: interviene il Consiglio di Stato

Consiglio di Stato: "La monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard urbanistici non ha la medesima natura giuridica del contributo di costruzione"

di Redazione tecnica - 24/05/2023

Qual è la differenza tra la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard urbanistici e il contributo di costruzione? Lo ha chiarito il Consiglio di Stato con la sentenza 17 maggio 2023, n. 4908 che ci consente di approfondire l'argomento.

Monetizzazione standard urbanistici e contributo di costruzione

La sentenza di Palazzo Spada è stata resa in riferimento al ricorso presentato da un Comune per la riforma di una decisione di primo grado che aveva annullato la determinazione recante la richiesta del pagamento di una somma a titolo di monetizzazione sostitutiva di aree a standard non cedute, ai sensi della L.R. n. 33/2007 ("Recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate"), e dovuta per la trasformazione di n. 80 piccoli vani tecnici di mq. 4 cadauno in complessive sei unità abitative collocate sulle coperture di due distinti corpi di fabbrica distinti e separati, di cui il fabbricato “A” servito da tre vani scala e il fabbricato “B” servito da due vani scala. Delle sei unità abitative realizzate quattro unità risultano collocate sul corpo di fabbrica “A” e due unità sul corpo di fabbrica “B”.

In secondo grado il Comune ha proposto appello contestando tutte le censure articolate dal ricorrente e le tesi poste a sostegno dell’impugnata sentenza che le ha accolte.

Cosa dice la giurisprudenza

Il Consiglio di Stato ha preliminarmente richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di monetizzazione di standard urbanistici, rilevando che:

  1. la monetizzazione non ha la medesima natura giuridica del contributo di costruzione, essa non è infatti una prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost. Mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento;
  2. la monetizzazione nasce come beneficio di carattere eccezionale – ammesso da previsioni di legge, di norma a livello regionale ed espressione di una valutazione discrezionale dell’amministrazione comunale - concepito come misura di favore di cui può giovarsi il richiedente un titolo edilizio che, in base allo strumento urbanistico, deve, per l’appunto, cedere o reperire nella zona in cui intende realizzare l’intervento costruttivo (o anche solo un mero cambio di destinazione d’uso senza opere) aree per la realizzazione di opere pubbliche (di regola parcheggi e verde pubblico), nel rispetto delle misure e secondo i criteri dettati dal d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, in attuazione degli artt. 41 quinquies e sexies legge urbanistica;
  3. senza la monetizzazione il privato è posto di fronte alle seguenti alternative:
    • non realizzare l’intervento;
    • cedere, ove possibile, una parte del proprio immobile al comune;
    • acquistare, in zona, a prezzo di mercato, spazi da destinare a standard;
  4. le nuove costruzioni ai sensi dell’art. 41 quinquies cit. non sono solo quelle effettuate su aree libere ma tutte quelle iniziative edilizie che trasformano un preesistente edificio in uno oggettivamente diverso in relazione all’entità ed alla consistenza delle modifiche.

Il caso di specie

Nel caso di specie, una norma regionale (Legge della Regione Puglia n. 33/2007) ha introdotto disposizioni finalizzate al “Recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate”.

L'articolo 6 della L.R. n. 33/2007 prevede:

  • al comma 1 che “Gli interventi diretti al recupero abitativo dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia ai sensi della lettera d) dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”;
  • al comma 2 che “Gli interventi di cui al comma 1 sono realizzati mediante permesso di costruire o mediante segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire” e comportano la corresponsione del contributo per il rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’articolo 16 del d.p.r. 380/2001 senza riferimento alla necessità di provvedere al contempo alla cessione, da parte dei soggetti proponenti gli interventi, delle aree da destinare a standards ai sensi del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444.

Secondo i giudici del Consiglio di Stato, tale disposizione non giova alla tesi della ricorrente finalizzata alla dimostrazione della inesistenza di una disposizione di legge espressa idonea a giustificare la richiesta di pagamento a titolo di monetizzazione in caso di indisponibilità della aree da cedere.

La norma in questione, infatti, prevedendo l’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione non esclude che sia dovuta anche la cessione di aree a standard che risponde ad una diversa ratio legislativa.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che “In linea generale fra i contributi per spese di urbanizzazione e i contributi dovuti per monetizzazione di aree standard vi è una profonda diversità sul piano dei rispettivi fini; pertanto, in tema di convenzione di lottizzazione, non vi è alcuna giustificazione in linea di principio a scomputare dai primi l'importo dei secondi, trattandosi di distinti e ugualmente necessari costi che l'amministrazione deve sopportare per la sostenibilità dell'intervento”.

Il fatto che la legge regionale sul piano casa preveda espressamente anche l’obbligo di cessione delle aree a standard nei casi di interventi che determinano un aumento del carico urbanistico, non vale a comprovare che il silenzio sul punto della legge regionale n. 33 del 2007 possa valere ad escludere siffatto obbligo poiché la previsione espressa contenuta nell'art. 5 della l.r. Puglia n. 14/2009 sul c.d. piano casa ha valenza non innovativa ma confermativa di un principio di carattere generale.

In ogni caso è dirimente la circostanza che l’art. 8 bis – introdotto dall’art. 4 della legge regionale 7 aprile 2014, n. 16 recante “Modifiche e integrazioni alla legge regionale 15 novembre 2007, n. 33 (Recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e interventi esistenti e di aree pubbliche non autorizzate)” - rubricato “Disposizioni in materia di mutamenti di destinazione d’uso” prevede espressamente la necessità della cessione delle aree a standard, anche nel caso di recupero dei sottotetti che comportino un mutamento di destinazione d’uso, come accade nel caso di specie.

L'art. 8-bis citato, infatti, prevede:

comma 1. Al fine di favorire il riuso e il recupero del patrimonio edilizio esistente, i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere edilizie e non comportanti incrementi volumetrici eccedenti le previsioni dello strumento urbanistico vigente, di immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore del presente articolo in zone territoriali omogenee che lo strumento urbanistico generale prevede a destinazione mista come definita all’articolo 51, comma 1, lettera c), punto 5), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), purché detti immobili non siano soggetti a vincolo derivante da finanziamento pubblico o rivenienti da variante urbanistica speciale.

comma 2. I mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono consentiti, previa approvazione di una delibera del Consiglio comunale che indichi le parti del territorio ove trova applicazione il presente articolo, da definire secondo criteri di compatibilità ambientale e funzionalità urbanistica, limitatamente agli usi consentiti nelle zone territoriali omogenee indicate al comma 1 e a condizione che siano assicurati:

a) le quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico e a parcheggi previste per la nuova destinazione dall’articolo 41‐sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge ponte urbanistica), dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico. o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), dallo strumento urbanistico vigente o l’importo dovuto per la loro monetizzazione ove non sia possibile reperirli nelle immediate vicinanze;

b) il rispetto delle vigenti norme in materia di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e accessibilità.

comma 3. I mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono assentiti con il titolo abilitativo edilizio richiesto per la tipologia d’intervento, con o senza opere, e previo pagamento, se dovuto, del contributo di costruzione di cui all’articolo 16 del d.p.r. 380/2001.

Dall’esame del comma 2 lettera a) emerge dunque in modo incontestabile che ogni cambio di destinazione d’uso – ivi compreso dunque quello da “locale tecnico”, a “uso abitativo” operato dalla società appellata ai fini di recupero del sottotetto – è soggetto al rispetto della disciplina in materia di standard urbanistici sicché il provvedimento impugnato deve ritenersi assistito da idonea base legale e nessuna violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 della costituzione può essere fondatamente prospettata con conseguente infondatezza del primo motivo di ricorso.

Rileva anche l’art. 4 comma 3 della menzionata legge regionale il quale prevede la monetizzazione nel caso di suddivisione in due o più unità immobiliari.

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