Risarcimento danni per inerzia: la responsabilità della pubblica amministrazione

La PA è tenuta al risarcimento solo quando l’utente abbia operato in maniera completa e corretta per la tutela del proprio interesse legittimo

di Redazione tecnica - 23/02/2022

Il risarcimento danni per l’inerzia di una Pubblica Amministrazione può essere richiesto solo quando un soggetto abbia provveduto in maniera completa e tempestiva a fornire tutta la documentazione utile al rilascio di un’autorizzazione o di un titolo abilitativo.

Inerzia PA e risarcimento danni: la responsabilità della Pubblica Amministrazione

Lo ha confermato il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la sentenza n. 197/2022, inerente appunto la richiesta di risarcimento danni presentata da una società, per l’inosservanza del termine di rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di un impianto fotovoltaico, che avrebbe impedito di usufruire anche di agevolazioni finanziarie.

La società appellante aveva presentato nel 2009 un’istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 d. lgs. 387 del 2003, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico. Nelle more della convocazione della conferenza di servizi competente a pronunciarsi sull’istanza, era entrato in vigore il Piano Energetico Ambientale Regionale Siciliano (P.E.A.R.S), la cui delibera di approvazione imponeva agli operatori del settore, anche in relazione alle istanze precedentemente presentate e non decise alla data di entrata in vigore del Piano, nuovi oneri dichiarativi e documentali prodromici alla convocazione della conferenza di servizi. La società ha quindi integrato nel febbraio 2011 la documentazione con quanto richiesto dall’art. 2 del PEARS.

Il quadro è stato ulteriormente complicato dalle seguenti norme:

  • d. lgs. n. 28/2011, entrato in vigore nel marzo 2011, che ha limitato l’incentivazione degli impianti fotovoltaici da realizzare su verde agricolo, imponendo il rispetto di stringenti prescrizioni tecniche (art. 10 comma 4), che non si applicavano ad impianti per cui era stata concessa autorizzazione entro il 1° gennaio 2011;
  • art. 65 del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 27/2012, che ha escluso, a decorrere dal 25 marzo 2012, gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in area agricola dall'accesso agli incentivi statali per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. 

Quindi non sarebbe stato sufficiente, per accedere agli incentivi statali, che l’impianto della società appellante entrasse in funzione entro il marzo 2012, essendo necessario che fosse stato autorizzato entro il 29 marzo 2011 (data di entrata in vigore del d. lgs. n. 28 del 2011), ovvero che la richiesta di autorizzazione fosse stata inoltrata prima del primo gennaio 2011. E invece la richiesta è risultata completa e ammissibile alla conferenza dei servizi solo a partire da febbraio 2011.

Per altro, come previsto dall’art. 4 del decreto del Presidente della Regione Siciliana 12 luglio 2012 n. 48, entro 15 giorni dalla presentazione dell'istanza, l'Amministrazione competente, verificata la completezza formale della documentazione, comunica al richiedente l'avvio del procedimento, oppure comunica l’improcedibilità dell'istanza per carenza della documentazione prescritta. Ciò significa che il procedimento può essere avviato solo alla data di ricevimento dell'istanza completa. Trascorso detto termine senza che l'amministrazione abbia comunicato l'improcedibilità, il procedimento si intende avviato.

Considerato che è stato necessario presentare integrazione di documentazione a febbraio 2011, a gennaio la conferenza di servizi non poteva essere né indetta, né l’autorizzazione concessa. Da questo punto di vista quindi l’Amministrazione non è stata inerte e non c’è nesso di causalità che giustifichi un risarcimento dei danni.

Ammissibilità del risarcimento danni

Come ha ricordato il Consiglio, l’Adunanza plenaria ha statuito che “nel settore del danno conseguente alla ritardata conclusione del procedimento amministrativo il requisito dell’ingiustizia esige dunque la dimostrazione che il superamento del termine di legge abbia impedito al privato di ottenere il provvedimento ampliativo favorevole, per il quale aveva presentato istanza”, quindi la decisione su tale domanda dipende dalla decisione in ordine alla spettanza del bene della vita” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

In questa prospettiva, “solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario”.

La mancata attivazione di tutti gli strumenti volti a evitare il danno, incide sulla fondatezza della domanda risarcitoria: entra in gioco l’art. 1227 comma 2 del codice civile, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza.

Si tratta del principio di esclusione della responsabilità ogni volta in cui si provi che il danno prodotto non rappresenta una perdita patrimoniale per il creditore o per il danneggiato, in quanto l’avrebbe egualmente subita o perché avrebbe potuto evitarla.

La parte appellante non ha messo in atto tutte le iniziative volte a evitare il ritardo procedimentale: non ha prodotto l’integrazione documentale prima di febbraio 2011, ha quindi impedito la convocazione della conferenza di servizi e ostacolato l’avverarsi delle condizioni che avrebbero consentito alla società di accedere agli incentivi. Solo la domanda completa avrebbe potuto supportare il nesso di causalità dell’evento dannoso e attribuire all’inerzia dell’Amministrazione la conclusione negativa del procedimento.

Obblighi di buona fede e collaborazione

Sul punto, il C.G.A.R.S. ricorda che su entrambe le parti del rapporto di diritto pubblico gravano obblighi di buona fede e di collaborazione: “essi impongono che il privato sia chiamato ad assolvere oneri minimi di cooperazione, quali il dovere di fornire le informazioni richieste e di porre in essere ogni comportamento che possa incidere sul raggiungimento del risultato atteso, e che trovano il proprio fondamento nei doveri di solidarietà e dell’autoresponsabilità, aventi fonte negli artt. 2 e 97 Cost”.

Il potere di avocazione

Infine, non è stato attivato il potere di avocazione di cui all’art. 2 commi 9-bis e 9-quinquies della legge n. 241/1990: la sua attivazione da parte del privato è infatti “indice di serietà ed effettività dell’interesse legittimo di quest’ultimo al provvedimento espresso”. Il mancato utilizzo dello strumento del potere di avocazione, come ricorda l’Adunanza Plenaria, “può concorrere a costituire comportamento valutabile ai sensi dell’art. 30, comma 3, cod. proc. amm. al fine di escludere «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Il ricorso è stato quindi respinto: la società, oltre a non avere attivato il potere di avocazione, non ha messo in atto ogni altra iniziativa volta a evitare il ritardo (e il relativo danno) del procedimento, per cui è esclusa la responsabilità dell’Amministrazione così come un eventuale risarcimento danni.

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