Terzo condono edilizio: no alla sanatoria della veranda in area vincolata

La condonabilità di un’opera ai sensi della legge n. 326/2003 è consentita soltanto per abusi edilizi minori, ma non per nuove costruzioni

di Redazione tecnica - 13/02/2024

La realizzazione di una veranda chiusa sui 4 lati e coperta, attigua a un immobile già esistente, non può essere considerata come mera pertinenza ma rappresenta a tutti gli effetti una nuova costruzione, non condonabile ai sensi della legge n. 326/2003, se realizzata in area vincolata.

Veranda abusiva in area vincolata: il no del Consiglio di Stato al condono

Principi granitici in giurisprudenza, ribaditi dal Consiglio di Stato con la sentenza del 25 gennaio 2024, n. 785, sul ricorso contro il diniego di condono edilizio ex art. 32 d.l. n. 269/2003 opposto da un’Amministrazione comunale, che ha anche intimato la demolizione dell’opera abusiva.

Il TAR aveva già respinto il ricorso specificando che:

  • l’intervento aveva portato alla realizzazione di una struttura autonoma attigua a quella esistente, ovvero di una nuova opera e non di un mero ampliamento di quella esistente;
  • per giurisprudenza costante, la realizzazione di una veranda, chiusa sui lati, costituisce una trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente manufatto, che in quanto idonea a modificarne la sagoma e creare nuovo volume, non può formare oggetto di condono;
  • la zona in cui era stato realizzato l’abuso è soggetta a vincolo paesaggistico, per cui l’intervento era insanabile come previsto dal c. 27 lett. d) art. 32 D.L. 30.9.2003, n. 269, secondo cui le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria, qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
  • la giurisprudenza ha ritenuto che il condono edilizio di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è ammissibile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del cit. D.L. 30.9.2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), non essendo in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive se, come avvenuto nel caso di specie, l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa;
  • nell'ipotesi di opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo, il silenzio-assenso dell'amministrazione comunale può formarsi col decorso del termine di ventiquattro mesi dall'emanazione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, e soltanto se tale parere è favorevole all'istante;
  • affinché si abbia silenzio-assenso è necessario che il procedimento sia stato avviato da un’istanza conforme al modello legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono, e quindi, che la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dalla norma stessa;
  • in base a quanto previsto dall’art. 34, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso”. La difformità parziale richiamata dalla norma è una categoria residuale, e presuppone modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione, e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera;
  • in base a quanto previsto nel comma 2 del citato art. 34 “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione”. Tale facoltà non è tuttavia invocabile nel caso di specie in cui, come detto, le opere realizzate hanno dato luogo ad una nuova costruzione.

Nuove opere in area vincolata: niente condono edilizio

La decisione del TAR è stata confermata anche in appello da Palazzo Spada: l’Amministrazione aveva correttamente respinto l’istanza di condono “perché si tratta di realizzazione dell’opera in contrasto con le norme urbanistiche (Tip.1) sin dall’epoca della costruzione, sia all’entrata in vigore della L.R. n. 31/2004, in zona soggetta a vincolo paesaggistico. In tale contesto essa non è sanabile per il combinato disposto dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003 e dell’art. 2, comma 1 della L.R. 31/2004”.

Oltre al D.L. n. 269/2003, anche l’art. 2 della legge regionale Lombardia n. 31/2004 esclude dal condono “le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”. È vero che – prosegue la norma – “L’esclusione non opera per le strutture pertinenziali degli edifici prive di funzionalità autonoma”, ma l’intervento in questione, per cui è causa, stante le dimensioni e la natura, non rientra nel concetto di struttura pertinenziale.

Infatti, per giurisprudenza costante, non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa.

Terzo condono edilizio e vincolo di inedificabilità

Smentita anche la tesi dell’appellante sulla condonabilità dell’opera, preclusa solo in caso di vincolo di inedificabilità assoluta. Sul punto, il Consiglio ha spiegato che la dimensione e la consistenza dell’opera realizzata, correttamente inquadrata quale nuova costruzione, non consente la riconducibilità della fattispecie al c.d. terzo condono in presenza di vincolo paesaggistico ed idrogeologico e, contrariamente alla tesi della parte appellante, non può nemmeno essere sanato previa l’acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 146 D.Lgs. n. 42/2004.

Infatti, l'applicabilità del terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Con riferimento al c.d. “terzo condono", l'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 326/2003, fissa limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo” e “secondo” condono (leggi nn. 47/1985 e 724/1994), escludendo la possibilità di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora sussistano congiuntamente due condizioni ostative:

  • a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente all'esecuzione delle opere abusive;
  • b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

In tal caso l'incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo. Inoltre le opere soggette a vincolo idrogeologico non sono condonabili ove siano in contrasto con il suddetto vincolo, anche se questo sia stato apposto successivamente alla presentazione dell'istanza di condono.

Pertanto, essendo l’applicabilità del condono in oggetto limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti - fattispecie che non sussiste nel caso concreto ove si tratta della realizzazione di una nuova struttura coperta, chiusa su quattro lati - è del tutto irrilevante, con riferimento al vincolo paesaggistico esistente sull’immobile, la distinzione tra inedificabilità assoluta e relativa.

Ordine di demolizione e fiscalizzazione dell’abuso

Per quanto riguarda la mancata applicazione dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), ovvero della sanzione pecuniaria al posto di quella demolitoria (c.d. "fiscalizzazione dell'abuso") ricorda il Consiglio che in presenza della realizzazione di opere edilizie abusive, il rimedio “ordinario” è quello dell’ordine di ripristino dello status quo ante.

In presenza di un atto vincolato, qual è l’ordine di demolizione, non è richiesta una specifica motivazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti. Come costantemente confermato dalla giurisprudenza, l'attività di repressione degli abusi edilizi non è attività discrezionale, ma del tutto vincolata; ne consegue che l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività.

Per quanto attiene la possibilità di procedere alla demolizione delle parti abusivamente costruite senza arrecare danno ad eventuali parti correttamente costruite, questa attività riguarda la fase esecutiva dell’ordinanza di demolizione. La costante giurisprudenza ritiene che non sia l'amministrazione a dover valutare, prima di emettere l'ordine di demolizione dell'abuso, se essa possa essere applicata, ma è il privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, nella fase esecutiva, l'obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme.

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