Condono edilizio: la Cassazione sull’istanza di sospensione della demolizione

L'ordine di demolizione impartito con sentenza definitiva non può essere sospeso solo sulla base di ricorsi pendenti, salvo il caso in cui sia concretamente prevedibile, e in tempi brevi, un provvedimento incompatibile con l’esecuzione

di Redazione tecnica - 26/06/2025

È sufficiente presentare un nuovo ricorso o fare leva su un giudizio amministrativo ancora pendente per bloccare l’esecuzione di un ordine di demolizione, già sancito da una sentenza definitiva? In che misura la pendenza di un’istanza di condono edilizio – o la sua riformulazione – può incidere sull’esecuzione di una misura sanzionatoria ormai cristallizzata?

A questi e ad altri interrogativi ha dato risposta la Corte di Cassazione con la sentenza del 12 giugno 2025, n. 22093, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati contro l’ordinanza della Corte d’Appello che, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza di sospensione dell’ordine di demolizione di due immobili abusivi, già oggetto di una precedente decisione divenuta irrevocabile.

Sospensione ordine di demolizione: quando è ammissibile l'istanza?

I ricorrenti contestavano la legittimità dell’ingiunzione a demolire, sostenendo:

  • la presunta sanabilità dei manufatti;
  • la sussistenza di nuove circostanze, tra cui un ricorso al TAR ancora pendente;
  • l'errata qualificazione della natura degli immobili, ritenuti autonomi e separati e quindi condonabili perché nei limiti delle volumetrie assentite.

In particolare, i nuovi istanti avrebbero acquisito la titolarità dell’immobile per successione, invocando l’art. 38 della legge n. 47/1985, come interpretato autenticamente dalla legge n. 136/1999. Inoltre, veniva chiesta la sospensione dell’esecuzione, in attesa dell’esito dei ricorsi amministrativi pendenti per silenzio-assenso sulla domanda di condono edilizio.

La Suprema Corte ha ritenuto i motivi del ricorso manifestamente infondati e privi di effettivi elementi di novità, richiamando un consolidato orientamento in materia esecutiva: la preclusione di cui all’art. 666, comma 2, c.p.p. non opera in senso assoluto, ma richiede fatti o questioni nuove, sostanzialmente diversi da quelli già valutati.

Nel caso di specie, le doglianze sono state ritenute mere riproposizioni di argomentazioni già respinte in via definitiva dalla Corte d’appello nel precedente provvedimento, divenuto ormai irrevocabile.

© Riproduzione riservata

Documenti Allegati